Ugo Benelli sulla dizione e sulle vocali negli acuti
<<Per anni s'è detto che il belcanto si fa cantando con le vocali. Non è
vero: si canta anche con le consonanti. Come potrebbe Belcore rendere la
frase: "ti avrei strozzato, ridotto in brani", senza accentuare le
consonanti? Tutto è importante, tutto si deve "cantare". (...)
Talvolta essere fedeli alle
vocali scritte non è facile, soprattutto sugli acuti... Ovviamente i grandi
compositori sapevano quale vocale mettere... sul si naturale della "Donna
è mobile" c'è la "e" di pensier, perché è una vocale che esce
sempre, così come su "un trono vicino al sol", c'è la "o",
che corre con facilità. È difficile
trovare un acuto sulla "a", e quando capita, di solito il suono della
voce si avvicina più ad una "o".
Riguardo alla "i", c'è
chi l'ha molto facile, ma sugli acuti è decisamente ostica, perché può farti
spezzare il suono in gola.>>
Ugo Benelli sui vocalizzi
<<Ci sono scuole di canto
che incoraggiano a studiare direttamente sulle frasi. Io però credo nei vocalizzi, come partenza sicura
per la tecnica... Prima su una nota, poi su note vicine, e via via aumentando
le proporzioni. Quando si cominciano ad ottenere dei risultati, pensando
sempre al controllo del fiato (e facendo scorrere i vocalizzi, per poi fermarsi
su alcune note), solo allora si può passare ad alternarli alle frasi. Perché
ciascun vocalizzo ha una difficoltà prescritta, ma ogni frase ne contiene
molte. (...)
Quando hai cantato una romanza, e alla fine ti aspetta una cadenza,
dunque l'applicazione aurea dei vocalizzi, innanzi tutto devi prendere tempo.
Solo un grande virtuoso riesce a partire con la prima nota e far seguire a
questa, subito, le altre. È meglio tenerla il tempo necessario per poterla
gestire, perché il canto è tutto un
appoggiarsi, un costruire sulle note. Se parti già alto, se non innalzi gli
acuti sulle note basse, ci sono buone probabilità che tutto finisca in gola.>>
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Freni, Benelli TORNAMI A DIR CHE M'AMI 1959 |
Ugo Benelli sugli acuti
<<Personalmente, non molto
grandi ma molto facili... (...) A Torino feci "La riconoscenza" di
Rossini, una Cantata scritta per la voce di Rubini... Arrivavo al re e al mi
bemolle: un tono e mezzo sopra il famoso 'do di petto', che poi di petto non è,
com'è noto: se proprio vogliamo tributargli una provenienza, semmai è "di
testa"... (...) Non ho costruito i miei acuti, semmai li ho perfezionati.
All'inizio della carriera tendevo ad alzare molto la testa: fu la Simionato a
farmelo notare, quando incidemmo "Cenerentola": talvolta mi faceva
cenno che tenevo la postura del capo
troppo alta... I suoni uscivano lo stesso, perché avevo natura e gioventù. In
seguitò però capii cosa intendeva: i suoni dovevano essere più coperti.
(...)
Anche i consigli di Bruscantini,
in materia di acuti, furono preziosi: insisteva perché trovassi un suono più
penetrante, un acuto che in teatro corresse, che arrivasse al loggione, dove
c'è il pubblico che paga di meno e che (non sempre, ma spesso) capisce di
più.>>
Ugo Benelli sul fraseggio
<<..."fraseggiare"
vuol dire innanzitutto far capire le parole, pronunciare, legare.
È una combinazione di pronuncia,
gusto, declamazione, legato... Una sintesi che s'ottiene con l'istinto, con
l'intelligenza, con la passione, e soprattutto con la tecnica. Perché non puoi fraseggiare se non canti sul fiato.>>
Ugo Benelli sul recitativo
<<I giovani tendono ad
accentare l'ultima nota, e questo è un errore. Perché nella lingua italiana gli
accenti sono solitamente sulla penultima vocale di una parola.
Spesso il recitativo è il lato
debole di un'interpretazione, perché sono davvero in pochi a saperlo porgere. Quando uno riesce ad affrontare
credibilmente i recitativi di un'opera, li sa fare di tutte: c'è una tecnica
specifica, un metodo, con regole fisse: se il cantante che ti precede
lascia una battuta lenta, devi cominciare in modo più veloce, se ti lascia su
un "piano" devi partire con un "forte"...
Bisogna riflettere sul termine
stesso: il più grande errore delle nuove
leve è proprio "cantare" un recitativo. Semmai, il canto può
intervenire in qualche momento, magari nella fase conclusiva: così le parole
avranno grande evidenza, proprio in ragione del fatto che fino ad allora le hai
"parlate". Bisogna insomma giocare sul contrasto, sulle pause, e
ricordare che, nel recitativo, i tempi scritti sono una convenzione da non
prendere alla lettera: non ci sono tempi da rispettare.>>
Ugo Benelli sulle agilità
<<Quando studiavo alla scuola della Scala, le agilità venivano
rigorosamente legate... Guai a slegarle, Confalonieri ci affibbiava dei nocchini
sulla testa. E sulla stessa linea erano gli altri grandi vecchi insegnanti.
Negli anni successivi questa
prassi si è capovolta: la nuova corrente rossiniana, con Abbado e la Berganza
(grazie forse a quella sua peculiarità vocale, che definirei "iberica")
hanno inventato l'agilità staccata, tendenzialmente gutturale. La voce della
Berganza riesce a farne un prodotto qualitativamente altissimo, ma gli altri
che vi si cimentano, raramente mi hanno convinto. (...)
Forse la soluzione, per risolvere
questo dilemma rossiniano, sta nel mezzo: in uno "staccato-legato",
nel suono che risulta dal rovesciare una collana di perle od un pallottoliere.
(...)
Le agilità innanzitutto bisogna acquisirle solidamente, suddividendole
con gli accenti. Poi è necessario tornirle di un senso artistico, e questo
non lo insegna nessuno. L'importante è arrivare alla fine di un'agilità e far
vedere che hai ancora fiato. Se possibile, meglio partire con un certo
rallentato, per avere un momento di vertigine nella velocità e poi ritornare in
una fase più calma. Ma se non si ha fiato abbastanza, meglio partire subito
speditamente... L'essenziale è chiudere
la frase esibendo "comodità" di respiro. E se non è una cadenza
finale, è sempre meglio - fiato permettendo - legarla alla frase successiva.>>
Ugo Benelli sulla gestione della
voce nei Concertati
<<Non ho mai spinto, nei concertati... Eppure mia moglie mi dice che
mi si sente sempre. Credo che sia una
questione di "dosi": bisogna trovare la quantità corretta di
emissione, il punto esatto: come quando vuoi puntare una lente al sole, e
bruciare con essa un foglio di carta velina (...) Deve essere a quel punto
esatto, non puoi né avvicinarla, né allontanarla troppo. Nella voce è la stessa
cosa. In effetti, quando sento le registrazioni (non quelle discografiche, dove
si fa ciò che si vuole, bensì in teatro), avverto la mia voce in maniera
distinta.>>
Ugo Benelli sul controllo di sé
nel canto professionistico: 75 % di tecnica e 25 % di "pathos" !!!
<<...vale ricordare che
lavoriamo con uno strumento situato all'interno del nostro corpo: con la
tecnica tentiamo di farlo rispondere nel modo migliore, ma ci sono sempre delle
sorprese... (...) guai a cantare col cuore. Naturalmente è bello dare questa
impressione, ma il cuore è sempre dominato
dal cervello. Se ti emozioni, anche il fiato si accorcia. Fare del canto professionistico significa
far emozionare gli altri, partecipando sì, ma in piccola parte, con il 75 % di tecnica e il 25 % di
"pathos". Bisogna saper fingere, e possibilmente essere anche
attori...
Il teatro è luogo della finzione
per eccellenza, ed è tutt'altro che facile viverci dentro: sono quarantaquattro
anni che salgo sul palco e
quarantaquattro anni che fingo. (...) Pur sforzandoti di distinguere il lavoro
dal resto, dal rapporto col prossimo, la finzione lentamente diventa parte di
te... se può consolare, per gli attori il problema è più grave (...) perché
devono concentrarsi sull'interpretazione cercando di tirare fuori una verità
falsa. Per noi cantanti, grazie a Dio, c'è sempre il problema di andare a tempo
con l'orchestra... L'immedesimazione è
parziale. E se ti identifichi nel personaggio, diventi passionale, cominci a
spingere e canti male. Devi mantenere il controllo, ricordarti le
indicazioni del regista e nello stesso tempo guardare il direttore d'orchestra,
cercare le luci per essere ben illuminato e, se hai paura di dimenticarti le
parole, dare anche un'occhiata al suggeritore... Nel canto c'è meno pericolo,
ma è sempre palcoscenico. Anche il grande compositore, con la forza della sua
musica, riesce a portarti fuori strada, a confonderti, ad allontanarti da ciò
che sei.>>
[ da: Giorgio De Martino - "Cantanti, vil razza
dannata" - La vita e gli incontri di Ugo Benelli - Zecchini, 2002 ]
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