giovedì 19 gennaio 2017

IL TENORE UGO BENELLI SULLA TECNICA VOCALE




 Ugo Benelli sulla dizione e sulle vocali negli acuti

<<Per anni s'è detto che il belcanto si fa cantando con le vocali. Non è vero: si canta anche con le consonanti. Come potrebbe Belcore rendere la frase: "ti avrei strozzato, ridotto in brani", senza accentuare le consonanti? Tutto è importante, tutto si deve "cantare". (...)

Talvolta essere fedeli alle vocali scritte non è facile, soprattutto sugli acuti... Ovviamente i grandi compositori sapevano quale vocale mettere... sul si naturale della "Donna è mobile" c'è la "e" di pensier, perché è una vocale che esce sempre, così come su "un trono vicino al sol", c'è la "o", che corre con facilità. È difficile trovare un acuto sulla "a", e quando capita, di solito il suono della voce si avvicina più ad una "o".
Riguardo alla "i", c'è chi l'ha molto facile, ma sugli acuti è decisamente ostica, perché può farti spezzare il suono in gola.>>


Ugo Benelli sui vocalizzi

<<Ci sono scuole di canto che incoraggiano a studiare direttamente sulle frasi. Io però credo nei vocalizzi, come partenza sicura per la tecnica... Prima su una nota, poi su note vicine, e via via aumentando le proporzioni. Quando si cominciano ad ottenere dei risultati, pensando sempre al controllo del fiato (e facendo scorrere i vocalizzi, per poi fermarsi su alcune note), solo allora si può passare ad alternarli alle frasi. Perché ciascun vocalizzo ha una difficoltà prescritta, ma ogni frase ne contiene molte. (...)
Quando hai cantato una romanza, e alla fine ti aspetta una cadenza, dunque l'applicazione aurea dei vocalizzi, innanzi tutto devi prendere tempo. Solo un grande virtuoso riesce a partire con la prima nota e far seguire a questa, subito, le altre. È meglio tenerla il tempo necessario per poterla gestire, perché il canto è tutto un appoggiarsi, un costruire sulle note. Se parti già alto, se non innalzi gli acuti sulle note basse, ci sono buone probabilità che tutto finisca in gola.>>

Freni, Benelli TORNAMI A DIR CHE M'AMI 1959

Ugo Benelli sugli acuti

<<Personalmente, non molto grandi ma molto facili... (...) A Torino feci "La riconoscenza" di Rossini, una Cantata scritta per la voce di Rubini... Arrivavo al re e al mi bemolle: un tono e mezzo sopra il famoso 'do di petto', che poi di petto non è, com'è noto: se proprio vogliamo tributargli una provenienza, semmai è "di testa"... (...) Non ho costruito i miei acuti, semmai li ho perfezionati. All'inizio della carriera tendevo ad alzare molto la testa: fu la Simionato a farmelo notare, quando incidemmo "Cenerentola": talvolta mi faceva cenno che tenevo la postura del capo troppo alta... I suoni uscivano lo stesso, perché avevo natura e gioventù. In seguitò però capii cosa intendeva: i suoni dovevano essere più coperti. (...)
Anche i consigli di Bruscantini, in materia di acuti, furono preziosi: insisteva perché trovassi un suono più penetrante, un acuto che in teatro corresse, che arrivasse al loggione, dove c'è il pubblico che paga di meno e che (non sempre, ma spesso) capisce di più.>>


Ugo Benelli sul fraseggio

<<..."fraseggiare" vuol dire innanzitutto far capire le parole, pronunciare, legare.
È una combinazione di pronuncia, gusto, declamazione, legato... Una sintesi che s'ottiene con l'istinto, con l'intelligenza, con la passione, e soprattutto con la tecnica. Perché non puoi fraseggiare se non canti sul fiato.>>


Ugo Benelli sul recitativo

<<I giovani tendono ad accentare l'ultima nota, e questo è un errore. Perché nella lingua italiana gli accenti sono solitamente sulla penultima vocale di una parola.
Spesso il recitativo è il lato debole di un'interpretazione, perché sono davvero in pochi a saperlo porgere. Quando uno riesce ad affrontare credibilmente i recitativi di un'opera, li sa fare di tutte: c'è una tecnica specifica, un metodo, con regole fisse: se il cantante che ti precede lascia una battuta lenta, devi cominciare in modo più veloce, se ti lascia su un "piano" devi partire con un "forte"...
Bisogna riflettere sul termine stesso: il più grande errore delle nuove leve è proprio "cantare" un recitativo. Semmai, il canto può intervenire in qualche momento, magari nella fase conclusiva: così le parole avranno grande evidenza, proprio in ragione del fatto che fino ad allora le hai "parlate". Bisogna insomma giocare sul contrasto, sulle pause, e ricordare che, nel recitativo, i tempi scritti sono una convenzione da non prendere alla lettera: non ci sono tempi da rispettare.>> 


Ugo Benelli sulle agilità

<<Quando studiavo alla scuola della Scala, le agilità venivano rigorosamente legate... Guai a slegarle, Confalonieri ci affibbiava dei nocchini sulla testa. E sulla stessa linea erano gli altri grandi vecchi insegnanti.
Negli anni successivi questa prassi si è capovolta: la nuova corrente rossiniana, con Abbado e la Berganza (grazie forse a quella sua peculiarità vocale, che definirei "iberica") hanno inventato l'agilità staccata, tendenzialmente gutturale. La voce della Berganza riesce a farne un prodotto qualitativamente altissimo, ma gli altri che vi si cimentano, raramente mi hanno convinto. (...)
Forse la soluzione, per risolvere questo dilemma rossiniano, sta nel mezzo: in uno "staccato-legato", nel suono che risulta dal rovesciare una collana di perle od un pallottoliere. (...)

Le agilità innanzitutto bisogna acquisirle solidamente, suddividendole con gli accenti. Poi è necessario tornirle di un senso artistico, e questo non lo insegna nessuno. L'importante è arrivare alla fine di un'agilità e far vedere che hai ancora fiato. Se possibile, meglio partire con un certo rallentato, per avere un momento di vertigine nella velocità e poi ritornare in una fase più calma. Ma se non si ha fiato abbastanza, meglio partire subito speditamente... L'essenziale è chiudere la frase esibendo "comodità" di respiro. E se non è una cadenza finale, è sempre meglio - fiato permettendo - legarla alla frase successiva.>>


Ugo Benelli sulla gestione della voce nei Concertati

<<Non ho mai spinto, nei concertati... Eppure mia moglie mi dice che mi si sente sempre. Credo che sia una questione di "dosi": bisogna trovare la quantità corretta di emissione, il punto esatto: come quando vuoi puntare una lente al sole, e bruciare con essa un foglio di carta velina (...) Deve essere a quel punto esatto, non puoi né avvicinarla, né allontanarla troppo. Nella voce è la stessa cosa. In effetti, quando sento le registrazioni (non quelle discografiche, dove si fa ciò che si vuole, bensì in teatro), avverto la mia voce in maniera distinta.>>


Ugo Benelli sul controllo di sé nel canto professionistico: 75 % di tecnica e 25 % di "pathos" !!!

<<...vale ricordare che lavoriamo con uno strumento situato all'interno del nostro corpo: con la tecnica tentiamo di farlo rispondere nel modo migliore, ma ci sono sempre delle sorprese... (...) guai a cantare col cuore. Naturalmente è bello dare questa impressione, ma il cuore è sempre dominato dal cervello. Se ti emozioni, anche il fiato si accorcia. Fare del canto professionistico significa far emozionare gli altri, partecipando sì, ma in piccola parte, con il 75 % di tecnica e il 25 % di "pathos". Bisogna saper fingere, e possibilmente essere anche attori...
Il teatro è luogo della finzione per eccellenza, ed è tutt'altro che facile viverci dentro: sono quarantaquattro anni che  salgo sul palco e quarantaquattro anni che fingo. (...) Pur sforzandoti di distinguere il lavoro dal resto, dal rapporto col prossimo, la finzione lentamente diventa parte di te... se può consolare, per gli attori il problema è più grave (...) perché devono concentrarsi sull'interpretazione cercando di tirare fuori una verità falsa. Per noi cantanti, grazie a Dio, c'è sempre il problema di andare a tempo con l'orchestra... L'immedesimazione è parziale. E se ti identifichi nel personaggio, diventi passionale, cominci a spingere e canti male. Devi mantenere il controllo, ricordarti le indicazioni del regista e nello stesso tempo guardare il direttore d'orchestra, cercare le luci per essere ben illuminato e, se hai paura di dimenticarti le parole, dare anche un'occhiata al suggeritore... Nel canto c'è meno pericolo, ma è sempre palcoscenico. Anche il grande compositore, con la forza della sua musica, riesce a portarti fuori strada, a confonderti, ad allontanarti da ciò che sei.>>


[ da: Giorgio De Martino - "Cantanti, vil razza dannata" - La vita e gli incontri di Ugo Benelli - Zecchini, 2002 ]

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